Pubblicato da Autoritas Editore, il libro si inserisce in un panorama culturale in cui il benessere è spesso raccontato come una performance, fatta di controllo, disciplina e risultati visibili.
Negli ultimi anni, il cibo è diventato un linguaggio morale. Si mangia “pulito” o “sporco”, si è “bravi” o “sgarriati”, si segue o si tradisce la dieta. In questo sistema di significati, il piatto non è più solo nutrimento, ma una dichiarazione di valore personale. Sgarra pure nasce proprio per smontare questa narrazione, restituendo al cibo la sua dimensione più autentica e umana.
Madaghiele parte da un presupposto semplice ma spesso ignorato: il benessere non può essere costruito sulla paura. Paura di ingrassare, di sbagliare, di perdere il controllo. Quando l’alimentazione diventa un campo di battaglia, il corpo smette di essere un alleato e diventa un problema da gestire. Il libro propone invece un cambio di sguardo: il cibo non come nemico, ma come relazione.
Attraverso uno stile ironico e diretto, l’autrice accompagna il lettore in una riflessione che va oltre la nutrizione. Sgarra pure parla di libertà quotidiana, di scelte imperfette, di equilibrio possibile. E lo fa senza retorica, partendo dalla realtà concreta di chi vive giornate piene, spesso disordinate, lontane da qualsiasi ideale di perfezione.
Lo sgarro come gesto umano in una cultura ossessionata dalla perfezione
In una società che premia il controllo e stigmatizza l’errore, lo “sgarro” è diventato un simbolo di fallimento. Una parola carica di giudizio, che presuppone una norma da rispettare e una colpa da espiare. Sgarra pure compie un’operazione culturale interessante: restituisce allo sgarro la sua dimensione umana, liberandolo dal peso morale che gli è stato attribuito.
Madaghiele afferma con chiarezza che non è una pizza a compromettere il benessere, ma il modo in cui la viviamo. Il senso di colpa, l’autocritica, la necessità di “rimediare” sono elementi che minano la relazione con il cibo molto più di qualsiasi alimento. In questo senso, lo sgarro diventa una cartina di tornasole: non rivela una mancanza di disciplina, ma un conflitto irrisolto.
Il libro invita a osservare con onestà una dinamica diffusa: più si tenta di controllare rigidamente l’alimentazione, più si perde il contatto con i segnali del corpo. Fame, sazietà, desiderio vengono ignorati o giudicati, fino a esplodere in comportamenti compensatori. Sgarra pure propone di interrompere questo ciclo, accettando che l’imperfezione non è un problema da correggere, ma una condizione naturale.
Lo sgarro, in quest’ottica, non è una deviazione, ma una pausa. Un momento che rende sostenibile il percorso, che restituisce piacere e normalità. Mangiare con gli amici, concedersi una cena improvvisata, vivere il cibo come esperienza sociale non è un ostacolo al benessere, ma una sua componente essenziale.
Il libro non giustifica l’eccesso, ma rifiuta l’idea che l’equilibrio debba essere rigido. Un equilibrio troppo fragile da rompersi con uno sgarro non è equilibrio, è controllo. Ed è proprio questa distinzione a rendere il messaggio di Madaghiele così attuale.
La quotidianità come luogo reale del benessere
Uno degli aspetti più interessanti di Sgarra pure è il suo radicamento nella vita quotidiana. Il libro non parla a un lettore ideale, ma a persone reali, con agende piene, responsabilità, stanchezza e imprevisti. La vita vera non segue piani alimentari perfetti, e Madaghiele lo riconosce senza giudizio.
Nel testo compaiono weekend, cene improvvisate, giornate storte, mamme multitasking. Tutti elementi che spesso vengono esclusi dal discorso sul benessere, come se fossero ostacoli anziché parte integrante dell’esperienza umana. Sgarra pure ribalta questa prospettiva: è proprio da lì che bisogna partire per costruire un’alimentazione sostenibile.
Il libro suggerisce che mangiare bene non significa fare sempre la scelta “giusta”, ma fare scelte compatibili con la propria vita. Questo implica flessibilità, adattamento, ascolto. Significa accettare che non tutte le giornate sono uguali, che il corpo cambia, che i bisogni variano. Un approccio che restituisce dignità alla complessità della quotidianità.
Madaghiele unisce ironia e basi scientifiche per dimostrare che la rigidità non è sinonimo di salute. Al contrario, un’alimentazione che non lascia spazio all’imprevisto è destinata a fallire. Sgarra pure diventa così un invito a ridurre la distanza tra teoria e pratica, tra ciò che “dovremmo” fare e ciò che possiamo realmente sostenere nel tempo.
Il benessere, suggerisce il libro, non è una meta da raggiungere, ma un processo da abitare. E questo processo non può prescindere dalla vita reale, con tutte le sue imperfezioni.
Un libro che parla di cibo, ma soprattutto di gentilezza
Alla fine, Sgarra pure lascia al lettore una riflessione che va oltre l’alimentazione. Il tema centrale non è cosa mangiare, ma come trattiamo noi stessi. Il cibo diventa il campo in cui si manifesta un atteggiamento più ampio: quello del giudizio costante, dell’autosorveglianza, della difficoltà a concedersi margine.
Madaghiele propone una rivoluzione silenziosa: smettere di giudicarsi. Smettere di trasformare ogni scelta in una valutazione morale. Smettere di usare il cibo come metro di valore personale. Un messaggio semplice, ma radicale, soprattutto in una cultura che spinge continuamente a migliorarsi, controllarsi, ottimizzarsi.
Mangiare bene, secondo Sgarra pure, significa anche imparare a essere gentili con se stessi. Accettare che il benessere non è fatto di perfezione, ma di equilibrio dinamico. Che la libertà non è assenza di regole, ma capacità di adattarle alla propria vita.
Il libro non offre soluzioni rapide né promesse miracolose. Offre qualcosa di più raro: una possibilità di tregua. Un invito a fare pace con il cibo, e attraverso il cibo, con il proprio corpo e la propria storia.
In questo senso, Sgarra pure non è solo un libro da leggere, ma un cambio di mentalità da sperimentare. Un testo che parla di nutrizione, sì, ma che soprattutto ricorda che il vero benessere nasce quando smettiamo di combatterci.